Anche l’Iran nel mirino delle proteste irachene

Scritto da in data Novembre 29, 2019

Iraq

Foto di copertina: Photo by ‏🌸🙌 فی عین الله on Unsplash

Il primo ministro iracheno Adi Abdul Mahdi ha licenziato il comandante militare che aveva inviato per riportare l’ordine nella città meridionale di Nassiriya colpita dalle proteste e dopo che il consolato iraniano nella città santa di Najaf, era stato messo a ferro e fuoco. Mahdi aveva mandato ieri mattina Jamil Shummary nel tentativo di contenere la protesta ma lo ha fatto provocando 24 morti e più di 180 feriti nel giro di poche ore, quando i manifestanti hanno tentato di bloccare un ponte. Nel pomeriggio la televisione irachena ha annunciato che il premier aveva rimosso Shummary dalla sua posizione.

A Najaf i manifestanti uccisi durante l’attacco al consolato iraniano di due giorni fa, invece, sono stati 28. La polizia ha usato munizione vere, mostrando mezzi sempre più aggressivi nei confronti di chi protesta contro il governo ormai da due mesi.

Il governo pare abbia deciso che usare la forza sia l’unico modo per rimanere al potere, un potere che i manifestanti cercano di far crollare chiedendo riforme, chiedendo occupazione, lotta alla corruzione. Sfidando il coprifuoco, come quello imposto a Najaf. Chi manifesta pensa anche che il governo sia troppo legato a potenze straniere come l’Iran, motivo per il quale attaccano le rappresentanze diplomatiche di Teheran.

Ieri, il ministero degli Esteri iraniano ha rilasciato una dichiarazione in cui ha affermato di ritenere il governo iracheno totalmente responsabile della distruzione del proprio consolato a Najaf, rilevando che il governo è legalmente responsabile della sicurezza delle missioni diplomatiche.

L’Iran continua a chiedere che il governo iracheno sia “fermo e deciso” contro gli aggressori. L’Ayatollah Khamenei e le forze di mobilitazione popolare iracheno (sostenute dall’Iran), conosciute in arabo come Hashd al Shaabi, hanno detto che dietro alle proteste ci sono forze straniere e hanno puntato il dito contro Israele, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita.

La città santa di Najaf

Ma la città di Najaf, 160 km a sud di Baghdad, non è come tutte le altre città, è una specie di Vaticano dello sciismo. Ha un significato spirituale per milioni di iraniani. Ogni anno arrivano centinaia di migliaia di pellegrini iraniani in visita e in preghiera. E’ dove è sepolto il cugino e genero di Maometto, Ali, quarto califfo e la moschea di Ali è il terzo sito più importante per l’Islam.

foto: wikimedia commons

E’ dove studiano tutti i principali pensatori teologi dell’Islam sciita. Perfino l’Ayatollah Khomeini è passato per Najaf, ha studiato al centro Al Najaf uno dei più importanti nel mondo musulmano. Una città mistica, piena di moschee importanti. Dove le donne devono trincerarsi nelle loro abbaye nere e non far trapelare un capello, e gli uomini studiano o combattono. C’è il più grande cimitero musulmano del mondo, Wadi us Salam, vi sono sepolti importanti profeti ed è dove vorrebbe essere sepolto ogni musulmano, perché si ritiene ci sia una delle porte del paradiso, e nel giorno del Giudizio ci si risveglierà lì insieme all’Iman Ali.

Il cimitero di Najaf – Foto: wikimedia commons

Una città assediata dagli americani dopo l’invasione che cercavano di catturare “vivo o morto”, uno di quelli che oggi è tra i maggiori protagonisti della politica irachena, Muqdada al Sadr, leader radicale sciita con una milizia di decine di migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per lui. Gli americani bombarono, ma non troppo, perché sapevano che toccare anche solo una moschea o un mausoleo avrebbe sollevato il mondo musulmano.

Najaf, Barbara schiavulli

Quando i manifestanti hanno attaccato il consolato iraniano hanno strappato la bandiera iraniana e prima che tutto bruciasse, l’hanno sostituita con quella irachena. Gli edifici iraniani sono diventati un simbolo, percepiti come i sostenitori di un sistema che la gente non è più disposta a tollerare.

Meno di un mese fa, il 4 novembre, i manifestanti a Karbala, non lontano da Najaf e città altrettanto santa, avevano scavalcato le barriere di cemento del consolato iraniano, sono stati respinti, non senza aver dato fuoco all’immagine del leader supremo l’ayatollah Ali Khamenei e il leader delle forze al Quds Qassem Soleimani.

I manifestanti, non solo attaccano gli edifici pubblici, gli studenti della capitale hanno lanciato una campagna per boicottare i prodotti iraniani che non vogliono più vedere sui banconi dei mercati.

Nel giro di un anno tre dei cinque consolati iraniani in Iraq sono stati date alle fiamme, mostrando una profonda ostilità dei giovani iracheni verso la percepita interferenza negli affari interni dell’Iraq da parte di Teheran.

D’altra parte non è la prima volta che ci sono proteste in Iraq, i giovani sono scesi in piazza spesso negli ultimi anni per accendere i riflettori sulla mancanza di servizi, sulla corruzione o la mancanza di lavoro. Ma questa dopo 360 morti, 150 mila feriti, sembra una protesta decisa a non fermarsi.

L’Iran dentro all’Iraq

La classe politica che ha governato in Iraq dal 2003 quando gli americani invasero, è stata profondamente influenzata dal vicino iraniano. L’Iraq è un paese dove il 60 per cento è sciita ma per decenni era stato controllato dall’amministrazione di Saddam Hussein acerrimo nemico degli iraniani e sunnita. Mente imperversavano i combattimenti tra iracheni e americani, si diceva in Iraq che gli iraniani avevano vinto la guerra americana senza neanche sparare un colpo.

Documenti trafugati mostrano come Teheran ha giocato a lungo al gatto e al topo con l’Iran e quanto sia radicata la sua influenza. Molti partiti tra cui il Dawa che ha governato l’Iraq tra il 2006 e il 2018 sotto i premier Al Maliki e Al Abadi, sono noti per i loro stretti legami con il paese vicino.

Ora a piazza Tahir, cuore della protesta esplosa il primo ottobre scorso, si bruciano bandiere iraniane e si intonano inni anti iraniani. Una volta lo si vedeva fare con le bandiere americane e quelle israeliane. La rabbia nel tempo si è fatta più forte, motivo per il quale sono stati attaccati i consolati iraniani a Karbala, Bassora, mentre i due nella regione curda, quelli di Erbil e Sulaimani sono stati risparmiati, perché il nord curdo o l’ovest sunnita non sono in piazza, come gli iracheni del sud.

Leggi o ascolta anche:

Iraq: il premier si dimette, le proteste continuano

E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta dai posti, potete sostenerci andando su Sostienici

Tagged as

[There are no radio stations in the database]