Stati Uniti, pena di morte per una donna: non accadeva dal 1953

Scritto da in data Dicembre 27, 2020

Mentre nel mondo sembra crescere il consenso per l’abolizione della pena di morte (il 16 dicembre 123 paesi su 193 membri Onu hanno votato a favore della moratoria, due in più rispetto al 2018), gli Stati Uniti del passaggio di presidenza da Donald Trump a Joe Biden vanno in controtendenza. In un susseguirsi di record negativi, infatti, il presidente dimissionario ha ordinato che fosse giustiziato il più giovane detenuto degli ultimi 70 anni (Brandon Bernard, 40 anni, ucciso nella notte dell’11 dicembre), in una esecuzione (la prima di cinque) che per la prima volta da 130 anni avviene nel periodo di transizione tra due presidenti.

Il caso di Lisa Montgomery

Inoltre, per la prima volta dal 1953, sarà giustiziata una donna, Lisa Montgomery. Un lungo articolo di The New York Times racconta la sua storia: una biografia di abusi, violenze, problemi mentali e infine grossolani errori giudiziari. Proprio a causa degli errori giudiziari, giudicati una vera e propria violazione dei diritti umani da parte degli avvocati che hanno seguito Lisa dopo la condanna (Kelley Henry, Amy Harwell and Lisa Nouri), è stata mandata una petizione alla Commissione Inter-Americana dei diritti umani. Nonostante la richiesta, l’unica speranza della donna è nella clemenza del presidente uscente Trump.

Ma cosa ha condotto Lisa alla pena capitale? Il crimine commesso è oggettivamente terrificante: ha strangolato una donna incinta, Bobbie Joe Stinnet, per poi tagliarle il ventre ed estrarne il feto che ha portato nella casa in cui viveva con il marito. Fortunatamente la bambina è sopravvissuta ed è ora una ragazza di 16 anni. La colpevolezza di Lisa, confessata da lei stessa, non è mai stata messa in discussione, ma negli Usa simili crimini sono stati compiuti, secondo il Cornell Center on the Death Penalty Worldwide, da almeno altre 16 donne dal 1976 a oggi. E nessuna di loro è stata giustiziata.

Gli abusi

Il caso di Lisa, secondo attivisti per i diritti umani e gli avvocati che l’hanno seguita dopo la condanna, sembra essere stato inficiato da una assenza di perizia sul suo stato di salute mentale nonché sull’assenza di una prospettiva di genere sulla sua intera vita. Nata in una famiglia abusante, avrebbe subito violenze sessuali sin dall’adolescenza e ora sarebbe vittima di disordini bipolari, stress post-traumatico, danni cerebrali dovuti a traumi. In carcere le ci è voluto un mese per imparare come rifarsi il letto secondo quanto previsto dalle norme interne.

Entrare nel dettaglio della vita di Lisa Montgomery avrebbe portato a comprendere cosa l’abbia portata a compiere quel gesto, che definire folle è forse puntuale, per il quale è stata condannata? Negli Stati Uniti una sentenza della Corte Suprema impedisce infatti di punire con la morte persone che non siano in grado di intendere e di volere: ma questo non è stato preso in considerazione né dalla giuria né dal giudice che si sono occupati di Lisa. Anche il gruppo di avvocati che l’ha seguita prima della sentenza − tutti uomini e dal quale furono allontanate diverse avvocate − sembrerebbe essersi “dimenticato” degli abusi che Lisa subì prima di diventare un’assassina, nonché di puntualizzare come non fosse assolutamente in grado di prendersi cura di sé o dei suoi figli. Tutti elementi che avrebbero aiutato a evitarle la massima pena.

A causa della pandemia di Coronavirus in corso Lisa non potrà ricevere visite (se non da familiari o dagli avvocati) prima dell’iniezione fatale, che avverrà il 12 gennaio prossimo.

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