Russia-Ucraina. Le conseguenze economiche della guerra

Scritto da in data Marzo 22, 2022

Il conflitto tra Russia ed Ucraina avrà pesanti ripercussioni economiche anche sul nostro paese, vediamo quali.

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Le conseguenze economiche della guerra.

Oggi ci occuperemo delle conseguenze economiche del conflitto tra Russia ed Ucraina.

Partiamo da una poesia di Bertold Brecht:

La guerra che verrà

non è la prima. Prima

ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima

C’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente

Faceva la fame. Fra i vincitori

Faceva la fame la povera gente egualmente.

Cercare di fare analisi su eventi bellici in corso è operazione azzardata, ma ci proveremo. Potremmo iniziare dicendo che le ragioni di questa guerra non sono chiare ma potrebbe sembrare un’affermazione ambigua, come se le guerre avessero ragioni fondate.

Nessuno si aspettava che la Russia attaccasse l’Ucraina, nonostante gli ammassamenti di truppe ai confini, nonostante gli Stati Uniti continuassero da mesi a lanciare l’avvertimento che si stava preparando una guerra. Quegli avvertimenti non sono stati presi sul serio da nessuno, perché nessuno si aspettava che Putin facesse una mossa politicamente così azzardata, al limite dell’irrazionalità.

Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, la più autorevole rivista di geopolitica pubblicata in Italia, alla domanda: «Perché Putin ha scatenato la guerra?», ha risposto con sconcertante semplicità: «Per errore!».

Probabilmente Putin pensava di ripetere il colpo di mano che aveva fatto nel 2014, quando si era annesso la Crimea. All’epoca, alcuni reparti militari ucraini erano passati dalla parte dei russi, altri non avevano opposto resistenza.

Non c’è bisogno di essere uno stratega militare per capire che quella che i russi chiamano con singolare eufemismo “Spezialnaia voennaia operazia” (operazione militare speciale) sia stata concepita male e realizzata peggio. Invadere e conquistare con circa 200.000 uomini un paese che è grande due volte l’Italia, con una popolazione di 44 milioni di abitanti, è un’idea quantomeno demenziale. Per fare un paragone storico, nel 1968, quando i paesi del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia, che aveva un’estensione territoriale pari a un quarto dell’Ucraina e una popolazione che era un quinto, impiegarono quasi 600.000 uomini.

Il potente esercito russo non sembra, alla prova dei fatti, così potente come la propaganda russa da un lato e quella filoamericana dall’altra, cercano di farci credere. Si sono visti filmati di mezzi corazzati rimasti fermi per mancanza di carburante, filmati di soldati russi che svaligiano supermercati alla ricerca di vettovaglie o si avventurano nelle fattorie ucraine nel tentativo di rubare qualche gallina. Diciamo che non è esattamente l’immagine di un’armata potentissima pronta a invadere l’Europa. L’esercito russo sta mostrando grossi problemi logistici, insufficiente copertura aerea, spirito combattivo probabilmente non così eccelso. Approssimazione, disorganizzazione, sciatteria si affiancano agli infiniti episodi di quotidiana ferocia che qualsiasi guerra porta con sé.

Qual è l’obiettivo di Putin?

Ma la di là dell’evidente errore di calcolo, perché Putin ce l’ha con l’Ucraina, qual è la strategia, qual è il disegno politico che frulla nella zucca del leader del Cremlino?

D’altronde, come diceva Carl Von Clausewitz, grande generale e stratega prussiano, la guerra altro non è che «la prosecuzione della politica con altri mezzi».

Secondo molti analisti l’intento di Putin è quello di ridare alla Russia un ruolo da grande potenza sulla scena internazionale, e per fare ciò ha l’intenzione di riunire il cosiddetto “russky mir” (il mondo russo), quei territori che storicamente hanno sempre fatto parte dell’impero zarista, Ucraina compresa. La prospettiva ha un sapore antistorico: l’impero dei pope e degli zar fu spazzato via dalla rivoluzione bolscevica nel 1917 e il tentativo di riesumarlo, sia nella simbologia che nella prepotenza militare, è qualcosa che oscilla tra il ridicolo e il tragico. La classica triade di tutte le destre a qualunque latitudine − Dio, patria e famiglia − declinata in salsa russa ha un sapore decisamente stantio.

Qualcuno sostiene, invece, che Putin miri a ricostruire l’impero sovietico, quella vasta area di influenza che l’Unione Sovietica riuscì a crearsi dopo la Seconda Guerra Mondiale quando le sue armate, dopo aver sconfitto il nazismo, arrivarono fino a Berlino. Ma anche questa sembra un’operazione antistorica, perché manca un tassello essenziale. L’Unione Sovietica fu una grande potenza perché era diventata l’incarnazione realizzata di quella che è stata, nel bene come nel male, la più grande idea politica del Novecento: il comunismo. Il cemento che teneva assieme le quindici repubbliche che costituivano l’Unione Sovietica − paesi, popoli, tradizioni, lingue diverse − era un’ideologia potente e universalistica. Un terzo dell’umanità era governata da regimi comunisti e in ogni angolo del pianeta c’erano partiti e movimenti che si ispiravano a quella ideologia. Il grande collante che teneva assieme l’impero sovietico era il partito comunista e la sua ideologia, e quando Gorbaciov, nel tentativo di riformare il paese, attaccò il partito comunista l’intero sistema si dissolse. Pensare di usare un po’ di nazionalismo panrusso come collante ideologico delle nuove aspirazioni imperiali della Federazione Russa è un’operazione piuttosto velleitaria. A ciò si aggiunga che la Federazione Russa ha la sintomatologia della grande potenza senza averne la malattia. L’Unione Sovietica, pur con tutti i suoi limiti, aveva raggiunto la parità strategica con gli Stati Uniti dal punto di vista militare e poteva competere sul piano economico, politico e scientifico con gli americani. La Federazione Russa di Putin è una temibile potenza regionale, ma con un’economia debole. Il PIL della Russia è leggermente inferiore a quello italiano, quello pro-capite è addirittura un terzo del nostro. La pretesa di ridisegnare gli assetti geopolitici del pianeta con un’economia specializzata nell’esportazione di materie prime e armamenti è abbastanza illusoria.

Come dice un vecchio proverbio: «Senza soldi non si canta messa», figuriamoci se si riescono a ricostruire gli imperi.

L’eterogenesi dei fini

Un filosofo e psicologo tedesco, Wilhelm Wundt, elaborò nell’Ottocento il concetto di “eterogenesi dei fini”. Alcuni economisti austriaci, paladini del liberismo, nel Novecento rielaborarono quel concetto applicandolo alle scelte di politica economica. Secondo costoro l’intervento dello Stato nell’economia è il più delle volte inefficiente, se non addirittura deleterio, e quindi sarebbe meglio evitarlo perché la domanda che occorre sempre porsi è: «Se questa politica economica venisse realizzata, avrebbe gli effetti desirati?». Secondo loro no: in economia, come in tutti i sistemi complessi dove le variabili in gioco sono infinite, è più probabile che si verifichino quelle che potremmo chiamare conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali. Per esempio, un governo per contrastare una crisi economica aumenta le entrate fiscali in modo da avere a disposizione più risorse per contrastare la crescente disoccupazione, ma la stretta fiscale produce sull’economia reale un effetto negativo che va a sommarsi a quello della crisi, finendo per accrescere ancor più la disoccupazione. Perseguivo un obiettivo ma nella realtà ne ho ottenuto uno diverso, addirittura opposto a quello che volevo ottenere.

Facciamo un piccolo esempio storico per chiarire il concetto in maniera ancora più intuitiva. In Cina, ai tempi di Mao Tze Dong, si scoprì che uno dei fenomeni che rovinavano le campagne e la produzione agricola era la proliferazione abnorme dei topi. Il partito comunista cinese, che già allora aveva una robusta vena pragmatica, decise di affrontare il problema non con generici appelli ideologici, come si usava all’epoca, ma istituendo un piccolo premio in denaro per ogni topo catturato dai contadini. In questo modo si mobilitavano i contadini contro i voraci roditori. La campagna ebbe un successo clamoroso: la quantità di topi catturati cresceva in continuazione ma, allo stesso tempo non si riducevano i danni provocati all’agricoltura. A qualche funzionario venne un sospetto. Furono fatti dei controlli e si scoprì che molti contadini, ingolositi dal premio in denaro, si erano messi ad allevare topi! L’intero meccanismo fu smantellato e si tornò ai sistemi di derattizzazione tradizionali.

Il principio dell’eterogenesi dei fini funziona in tutti i sistemi complessi, anche in politica, e forse Putin non ha tenuto in debito conto questo problema. Scatenando questa guerra è riuscito a raggiungere due risultati per lui inaspettati e certamente non graditi.

Il primo è stato quello di unire gran parte degli ucraini. L’Ucraina è un paese indipendente da soli tre decenni, l’identità ucraina è sinora rimasta piuttosto sfumata, anche perché quel paese è di fatto un paese con gruppi etnici e linguistici diversi: ci sono russi, ucraini, ebrei, polacchi, moldavi, ungheresi, lituani, tatari e poi, ovviamente, famiglie miste. L’aggressione russa di questi ultimi giorni è riuscita a far ritrovare − o a far scoprire − a tutti gli ucraini un’identità nazionale che finora era rimasta sfumata o quantomeno indefinita. D’altronde, come ci ricordano gli storici, tutti i processi di “nation building”, di creazione di una nazione, passano attraverso lotte, guerre e sofferenze. Molti cittadini di quel paese, che magari fino al giorno prima forse si sentivano più russi perché di lingua e genitori russi, di fronte alle bombe e ai carri armati, davanti al tentativo di sopraffare un governo, criticabile per mille ragioni ma pur sempre democraticamente eletto, hanno scoperto di essere e di sentirsi ucraini, anche semplicemente perché non sono intenzionati ad accettare la prepotenza di Mosca.

Il secondo, inaspettato, risultato è che l’aggressione all’Ucraina ha da un lato rafforzato un’alleanza militare come la Nato e dall’altro dato una sveglia alla solitamente sonnacchiosa Unione Europea che, per la prima volta nella sua storia, ha rinserrato i ranghi. L’abbiamo addirittura vista, dopo anni di litigi, di polemiche, di sgambetti reciproci sulle questioni umanitarie e dell’accoglienza dei profughi, ritrovare uno slancio di solidarietà comune. Persino la Polonia, che sino a qualche mese fa costruiva muri di filo spinato per non far entrare i profughi, oggi si sta mobilitando in uno sforzo di solidarietà commovente. Certo, i profughi di qualche mese fa erano siriani, afghani e di chissà quale altra nazionalità extraeuropea, la pigmentazione della pelle era più scura. Gli ucraini sono europei, bianchi, tendenzialmente biondi e con gli occhi chiari, nelle regioni più occidentali dell’Ucraina parlano perfino polacco. In fondo qualche venatura di razzismo c’è sempre, ma è indubbio che di fronte alla tragedia ucraina c’è stato un grande afflato solidale: se e quanto durerà lo vedremo nei prossimi mesi.

Porre fine a questa guerra non sarà semplice, perché entrambi i contendenti si trovano in un drammatico cul de sac. Putin non può permettersi di perderla perché i costi umani, economici, politici, di immagine che la Russia sta pagando, e pagherà, sono immensi e ci vorrà almeno una generazione per recuperarli. Il problema è che, probabilmente, non può neanche vincerla, perché la potenza militare russa non è così potente e la Russia non ha gli uomini, i mezzi, le risorse per vincerla, per conquistare tutta l’Ucraina, assoggettare e controllare un intero paese. Ma anche gli ucraini sono in una situazione speculare. La guerra non possono vincerla perché militarmente sono meno forti dei russi, e gli aiuti forniti dall’Occidente non bastano a modificare radicalmente i rapporti di forza. Allo stesso tempo gli ucraini questa guerra non possono nemmeno perderla, perché perderebbero il loro paese e la loro indipendenza. Alla fine entrambi i contendenti dovranno trovare un compromesso, quando e a che prezzo per ora non può prevederlo nessuno.

Quanto ci costerà la guerra di Putin?

Difficile fare valutazioni, secondo alcuni economisti i costi per il nostro paese oscilleranno tra i 50 e i 100 miliardi di euro. Proviamo a fare un po’ i conti del salumiere con i dati che abbiamo a oggi, ma la situazione come sappiamo è in continua evoluzione. A inizio 2022 le previsioni macroeconomiche ipotizzavano per l’Italia, quest’anno, una crescita del PIL attorno al 4%, all’incirca una settantina di miliardi. Quella crescita tra Covid, guerra, e inflazione probabilmente finirà azzerata.

I costi dei prodotti energetici continuano a crescere e resteranno alti ancora per lungo tempo, quindi, spenderemo molti miliardi in più per i trasporti, il riscaldamento, l’energia. Questa situazione sta mettendo in seria difficoltà diverse aziende nei settori cosiddetti energivori, alcune hanno anche sospeso la produzione: cartiere, acciaierie, produttori di ceramiche, per citarne alcuni. Migliaia di altre aziende, le più piccole, chiuderanno e decine di migliaia di persone perderanno il lavoro. Secondo i calcoli di Confindustria a rischio ci sono 184.000 imprese e 1.400.000 lavoratori.

La Russia e l’Ucraina, soprattutto la prima, erano partner commerciali importanti per un paese esportatore come l’Italia. Verso la Russia nel 2021 abbiamo esportato più di 7 miliardi di euro di: macchinari, mobili e arredi, prodotti alimentari e bevande, tessili e abbigliamento, calzature, prodotti chimici e farmaceutici, per citare le voci più rilevanti. Gran parte di queste esportazioni nel 2022, tra sanzioni, svalutazione del rublo e crisi economica in Russia dovranno trovare, se ci riusciranno, altre destinazioni. Un ulteriore danno per le nostre imprese.

Il Parlamento nei giorni scorsi ha approvato a larga maggioranza l’aumento delle spese militari del nostro paese da 25 a 38 miliardi di euro. Sono 13 miliardi di euro in più di spese militari ogni anno, soldi che verranno tolti ad altri capitoli, dalla scuola alla sanità, dalla ricerca all’assistenza sociale.

La guerra ha causato finora quasi 3 milioni di profughi, ma si prevede che questo numero potrà raddoppiare. In Italia per ora ne sono arrivati 50.000 ma si prevede ne arriveranno alcune centinaia di migliaia. Questi rifugiati vanno accolti e bisogna mantenerli fino a quando non potranno tornare nel loro paese, rappresentando altri costi per le casse pubbliche, non quantificabili per ora ma si tratterà di miliardi.

Ringraziando Putin per questi bei regalini, di cui avremmo fatto volentieri a meno, nella prossima puntata ci occuperemo più specificamente dell’economia russa e degli effetti che questa guerra sta producendo su quel paese.

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