Ucraina, Ternopil: un rifugio da Kharkiv e Kyiv

Scritto da in data Marzo 23, 2022

L’attacco russo all’Ucraina ha costretto già circa 10 milioni di suoi cittadini a lasciare le proprie case: in 3 milioni, principalmente donne, bambini e bambine sono dovuti fuggire nei vari paesi dell’Unione Europea. E circa 7 milioni stanno ora cercando di stabilirsi nei vari luoghi dell’Ucraina occidentale, con la speranza di poter tornare il prima possibile nelle proprie abitazioni, lasciate dopo l’inizio della guerra. Una di queste città è Ternopil: dall’inizio della guerra le strade della città, nell’ovest ucraino, si sono riempite di automobili che portano le targhe di Kharkiv, Kyiv e di altre città.

Sfollati di Kharkiv

Coloro che sono spostati qui da Kharkiv, a soli 40 km di distanza dal confine con la Russia, danno subito nell’occhio. Alcuni cercano alloggi, qualcuno chiede indicazioni sulla strada per arrivare all’ostello più vicino. Li vedi camminare per la città, con coperte nuove, utensili da cucina, scorte di cibo. E in quei pochi bar aperti, sono loro a saltare al minimo rumore, di soprassalto, al ricordo dei bombardamenti da cui sono dovuti allontanarsi.

Misha, 36 anni

Misha, 36 anni, ha lasciato Kharkiv con sua moglie e una bambina di cinque anni dopo una settimana dall’inizio dall’invasione russa. Sono riusciti a scappare dai bombardamenti con la macchina, partendo per Poltava, e da lì con un treno regionale, per Ternopil. Quel percorso Misha lo ricorda come un incubo. Il viaggio lungo 20 ore, in piedi, senza mangiare, in un treno affollato. Dopo qualche notte in un centro di accoglienza a Ternopil, la moglie Halyna e la figlia Vasylysa sono partite per la Polonia, mentre Misha è rimasto: come tanti suoi connazionali, non può lasciare il paese per via della mobilitazione generale. Misha è un imprenditore, in tempo di pace aveva una piccola produzione di vestiti. Ora sta cercando di acquisire una professionalità nell’ambiente IT, per poter andare avanti in qualche modo.

La famiglia viveva a Kharkiv in un appartamento in affitto a Saltivka, una delle zone più bombardate dal primo giorno di guerra. Misha e Halyna avevano raccolto la cosiddetta “valigia d’urgenza” ancora prima che cominciasse la guerra, quando non si faceva altro che parlare della possibile invasione da parte russa. Dentro hanno messo documenti, cibo in scatola e dei vestiti caldi. E poi, all’improvviso, quello che più temevano è cominciato.

Halyna con la figlia Vasylysa

«Stavamo dormendo e alle quattro e mezza abbiamo sentito degli scoppi», racconta Misha. A soli 3 chilometri da casa loro c’è un’unità militare, e quando i russi hanno iniziato a bombardarla, la famiglia è balzata in piedi: hanno preso le loro cose e sono scappati a casa dei genitori, dove poi hanno passato una settimana nel rifugio anti bombe. Quella mattina la gente fuggiva in massa da tutte le case, tutti erano spaventati, ma non c’era panico. Tutto il vicinato di Misha era per strada. «Non c’erano ancora informazioni, ma abbiamo capito che la guerra era iniziata», racconta.

Il centro di accoglienza dove Misha, Halyna e la figlia Vasylysa sono stati prima di partire

Ternopil accoglie anche quelli che fuggono dalla guerra per la seconda volta. Natalya e Oleksandr, sessantenni entrambi, avevano lasciato Donetsk nel 2014, quando è cominciata la guerra, e si sono trasferiti a Kharkiv, a Saltovka, per poter ricominciare da zero. Quella stessa guerra, stavolta su larga scala, è venuta a bussare un’altra volta alla loro porta.

«Maledetti. La Russia ci ha tolto tutto per la seconda volta». Natalya non sta più a guardare il linguaggio. A differenza di Misha e Halyna, che periodicamente uscivano per comprare da mangiare, la sua famiglia non ha lasciato il rifugio antiaereo per una settimana. L’esperienza della “prima volta” a Donetsk si faceva sentire, paralizzava dalla paura. Ora Oleksandr è ricoverato in un ospedale: ha una grave malattia ai polmoni, e gli eventi delle ultime settimane non hanno fatto che peggiorare la situazione. A trovare un alloggio per loro ci hanno pensato i volontari, che danno una mano anche col cibo. Nessun progetto per il futuro, almeno per il momento. «Per ora ci stabiliamo a Ternopil, poi vedremo», dice al telefono Natalya.

Ternopil, tra rifugiati e sirene

Un’ondata di sfollati interni ha alimentato una crisi abitativa, che nell’Ucraina occidentale era già realtà. E Ternopil non fa eccezione. Nelle prime settimane la città e l’omonima regione hanno accolto migliaia di sfollati, anche se per tanti si tratta solo di un punto di passaggio, prima di partire per la Polonia, la Romania o per un altro paese europeo. Ora è quasi impossibile trovare un appartamento o una stanza e non ci sono nemmeno posti nei rifugi temporanei. Però la città, abitata prima della guerra da circa 200.000 persone, fa tutto il possibile per accogliere i connazionali in fuga dai bombardamenti russi.

Nella stazione centrale, in un angolo, un pasto caldo aspetta chi è appena arrivato. Su un tavolo ci sono pentole con zuppe, tè caldo, caffè, pane e altro cibo. Qui si trova anche il principale centro di coordinamento per i rifugiati delle diverse città ucraine. A Ternopil funzionano punti di distribuzione per gli aiuti umanitari e centri volontari.

Nei centri commerciali della città finora non c’è traccia della crisi umanitaria imminente, ma molti prodotti sono scomparsi dagli scaffali e non vengono più riforniti. A un mese dalla guerra sono anche stati riaperti alcuni locali dove, tra l’altro, si può ordinare una birra. È l’unico alcolico la cui vendita è permessa nei bar e nei supermercati di alcune regioni, tra cui appunto l’oblast’ di Ternopil. Per il resto, nel paese si applica la cosiddetta “legge secca” – niente alcolici di nessun tipo durante la legge marziale. I più ingegnosi cercano di vendere del vino, o altro tipo di alcolico, ma vengono arrestati quasi subito.

Anche per il resto a Ternopil vigono le regole della guerra. Nonostante il coprifuoco scatti alle 22.00, la città si svuota molto prima. I pochi negozi e supermercati aperti chiudono alle 17.00 circa, e con il tramonto scatta anche l’oscuramento: gli abitanti della città spengono le luci delle case, per ridurre il rischio di un attacco aereo.

Oramai le sirene suonano spesso, giorno e notte, soprattutto nelle ultime settimane per l’alto rischio di possibili attacchi aerei o missilistici. «Scendete al rifugio, tutti», lampeggia sugli schermi degli smartphone il messaggio di una delle tante app che avvisano del pericolo. Paradossalmente, alcuni abitanti non ci fanno più caso, e non di rado nei centri residenziali si vedono donne e uomini passeggiare con i cani al guinzaglio e chiacchierare anche sotto il suono delle sirene. Dopo un mese di guerra, gli ucraini stanno imparando a vivere in una nuova realtà.

Potrebbe interessarti anche:

Caro energia: perché ci siamo ridotti “alla canna del gas”?

se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta recandosi sul posto, potete darci una mano cliccando su Sostienici


[There are no radio stations in the database]