Nadima: “Basta distruzione, portiamo amore e luce in Afghanistan”

Scritto da in data Agosto 21, 2022

KABUL — «L’Afghanistan, più di qualsiasi posto, ha bisogno di amore e luce», dice Nadima nel suo turbante color zafferano e nell’abito tradizionale che la rende un’icona della moda afghana. Nonostante abbia un passaporto canadese, perché la sua famiglia era fuggita quando era piccola, nel 2019 è tornata per restare. Non se n’è andata durante l’evacuazione dell’agosto dell’anno scorso, e non se n’è andata neanche dopo che nel febbraio 2019 l’hanno arrestata e tenuta in galera per ventinove giorni. «Sono qui per fare la differenza, perché l’approccio occidentale con i talebani è sbagliato, perché queste persone, spesso orfani o strappati alle loro famiglie, sono stati manipolate e ora hanno bisogno di riconnettersi con la vita».

Nadima, 39 anni, in Afghanistan è molto conosciuta per i suoi video divertenti su TikTok, dove interpreta una donna pashtun alle prese con le difficoltà della famiglia, facendolo in modo ironico tanto da riuscire a far ridere in un paese dove molti si sono dimenticati cosa significhi.

Trasuda ironia e spesso non è chiaro quando prende in giro qualcuno o è seria.
Racconta della sua prigionia, di come si è fatta arrestare, perché i talebani erano venuti per un suo amico inglese. «In Afghanistan l’ospitalità è tutto, se prendete lui prendete anche a me, perché è a casa mia», ha detto ai talebani, che l’hanno presa, ma hanno capito subito che avrebbe dato loro filo da torcere: parla la loro stessa lingua, perché conosce abbastanza le pieghe della tradizione da potercisi insinuare e chiede il rispetto che loro tanto vantano verso le donne. Li mette in riga con i loro stessi discorsi e loro non possono fare altro che cedere.

«Quando ero in prigione con altre donne, arrivavano, erano aggressivi, ma io gli ho subito detto che dovevano togliersi le scarpe, perché in quella cella pregavamo». L’hanno guardata imbarazzati e hanno tolto subito le scarpe e poi lei gli ha offerto il tè, lasciandoli interdetti. E così piano piano si sono ammorbiditi. «Quando mi fermano per strada, gli dico “non comportatevi così, un uomo pashtun rispetta la propria madre e la sorella, io sono vostra sorella”». Nadima ha fondato e lavora per una piccola ong che sfama migliaia di persone, gira per il paese, conosce gente, che spesso già conosce lei. Indossa il turbante perché non crede che il velo sia parte della tradizione afghana e sorride, e cerca di regalare energia a chiunque incontra. «Ho paura? Mi stanco? A volte è troppo? Sì, Barbara, ma poi la risposta che ottengo è “perché non te ne vai, hai un passaporto straniero”, e invece no, io resto qui perché è il mio posto, perché qualcuno deve farlo, perché questa sono io e nessuno può dirmi quello che voglio».

In un paese che affonda, dove le lacrime sono meandri della vita di una persona, Nadima con il suo carisma ribalta la narrativa di questo posto, invita donne e uomini disperati ad aiutarsi, a risvegliarsi, a non cedere alla disperazione. Non facile, ma non impossibile. «Le donne sono vittime di bulli che sono stati a loro volta bullizzati, hanno bisogno di amore, di pace, sono bambini soldato diventati adulti, avrebbero bisogno di sostegno psicologico, e invece gestiscono uno stato, a maggior ragione bisogna percorrere la via più difficile per aiutarli a ritrovarsi».

Ora ha in mente di fare una sfilata di moda: abiti tradizionali, colorati, bellissimi e che non infrangono alcuna regola del rigido codice di abbigliamento imposto dai talebani. Una cosa inaudita per molti, ma nella quale non infrange alcuna regola. «L’Occidente ha contribuito a distruggere questo paese, e ora pretende che le donne abbiano diritti, vadano a scuola. Ma non funziona così, guarda come va il mondo, io non dirò mai voglio un diritto, perché io sono il diritto, sono quella che insieme a tutte le altre donne, creiamo la vita. Dio non ha creato le donne, forse per creare il suo creatore?», dice con un sorriso, dove non si è mai troppo sicuri se sia seria o stia escogitando qualcosa.

Ma il fatto è che Nadima propone una via alternativa, quella dell’ascolto, della riconciliazione, delle parole, le stesse che usano loro, perché sa che quella delle armi o del ricatto economico non funziona. «Adesso la gente ha fame, e bisogna che l’economia in qualche modo riprenda; poi dobbiamo trovare un modo perché tutto il resto si attivi, ma portando luce non altra miseria, essendo persone migliori, dando l’esempio, facendo la differenza. Per questo sono qui, per questo sono una fiera donna pashtun, per questo non mostrerò la mia paura. Noi donne dobbiamo usare la nostra vulnerabilità e trasformarla in una forza, perché le donne sono forti, qui in Afghanistan e nel resto del mondo, e con il tempo le cose cambieranno, gli uomini cambieranno». Illusione? Speranza? Un po’ di pazzia? Non importa, Nadima condivide un sogno e ci prova, stando qui, stando in mezzo alla gente, mettendo insieme pezzi di vita, così come mette insieme pezzi di stoffa per fare i suoi bellissimi vestiti. Prende roba che la gente butta via o non sa che farne, e ridà loro una vita, e comunque la si pensi, ogni cosa che tocca diventa bella. E la gente la ascolta, perfino i talebani, in qualche modo, ne restano ammaliati. Schietta, forte, energica e con un sorriso che illumina la stanza, questa è Nadima, e ne sentiremo ancora parlare.

Questa storia è stata raccontata grazie al contributo dei sostenitori di Radio Bullets che hanno finanziato questo reportage in Afghanistan, a un anno dalla presa dei talebani. 

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