Grecia – Un disastro economico evitabile

Scritto da in data Settembre 14, 2020

Continuiamo i nostri ragionamenti sul tema ricchezza e povertà. Se si chiede a qualcuno esperto di risparmi e investimenti quale sia il modo migliore per risparmiare, spesso la risposta è: il modo migliore per risparmiare soldi è non spenderli! Sembra una considerazione banale ma non lo è. Ugualmente se ci poniamo la domanda, qual è il modo migliore per contrastare la povertà la risposta più immediata è: il modo migliore per contrastare la povertà è evitare di ridurre la gente in miseria!

Per un’esperienza più coinvolgente, invece di leggere ascoltate il podcast 

Purtroppo di esempi di Paesi e di popoli interi ridotti in miseria ce ne sono a centinaia. Le cause che portano alla povertà possono essere naturali: terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami, pestilenze, cambiamenti climatici; oppure politiche come guerre e persecuzioni, rivoluzioni e cambi di regime; oppure economiche come crisi economiche e finanziarie. Il sistema capitalistico ha un andamento ciclico, fasi di crescita si alternano a fasi di crisi, e le crisi possono essere di breve durata o possono colpire soltanto alcuni settori, oppure possono essere crisi sistemiche, di lunga durata, difficili da superare. Ma spesso le ragioni che causano la povertà sono politiche economiche fondamentalmente sbagliate.

Pensiamo a eventi relativamente recenti, come il default dell’Argentina nel 2001, un caso da manuale di un Paese ricchissimo ridotto in povertà da scelte economiche palesemente errate, o al caso altrettanto eclatante del Venezuela, un altro paese potenzialmente ricchissimo ridotto alla fame da un regime come quello di Maduro.

Grecia, un esempio da non seguire

Ma oggi vogliamo parlare di un caso molto più vicino a noi: la Grecia. Chi conosce quel Paese, anche soltanto dal punto di vista turistico, conserva sensazioni e ricordi di un paese meraviglioso, con paesaggi mozzafiato, un clima mite, una popolazione simpatica e accogliente, una cucina gustosa, una storia e una tradizione culturale grandiosa, che sono alla base della nostra civiltà. È difficile non innamorarsi di quel Paese e della sua gente. Ma la Grecia è stata, purtroppo, anche un caso da manuale di quel che non bisognerebbe fare per affrontare un problema economico.

Le immagini spesso hanno una capacità di sintesi che la parola non ha, le immagini ci offrono con ineguagliabile immediatezza una situazione, un’atmosfera, una sensazione, una storia.

Una delle immagini più emblematiche del decennio appena trascorso è quella di un povero pensionato greco, seduto per terra, che piange sconsolato. È un’immagine dell’estate del 2015: il governo di sinistra guidato dal premier Tsipras aveva appena vinto un referendum popolare che diceva “ochi” – no in greco – ai diktat della Trojka, ma per tutta risposta la Banca Centrale Europea aveva chiuso i rubinetti alle banche greche e il Paese era sull’orlo del fallimento.

Certamente la storia dell’Europa ci ha abituato a vedere immagini ben più drammatiche, ma pensavamo, o meglio, ci eravamo illusi, o meglio ancora, ci avevano fatto credere, che una delle ragioni fondamentali per cui si dovevano fare quelli che qualcuno pomposamente aveva chiamato gli “Stati Uniti d’Europa”, fosse quella di lasciare negli archivi della storia le immagini di popoli perseguitati, sopraffatti, umiliati, vilipesi, derisi!

I problemi per la Grecia cominciano, come per tutti gli altri paesi europei, nell’autunno del 2008, quando gli effetti della crisi seguita al fallimento della banca Lehman Brothers negli Stati Uniti, si diffondono rapidamente in tutto il mondo.

Un anno dopo, il 20 ottobre del 2009, il Pasok, il partito socialista di George Papandreu vince le elezioni politiche in Grecia. Il nuovo governo di centro-sinistra da poco insediatosi lancia una “bomba” su tutti i mass media annunciando che i conti pubblici del Paese sono stati truccati negli anni precedenti dai governi di centro-destra e dai consulenti della banca d’affari americana Goldman Sachs, chiamati ad aiutare il governo greco a entrare nell’Euro. Il dato che viene comunicato è che la Grecia ha un deficit di bilancio – in termini sintetici, la differenza tra entrate e uscite dello Stato – non del 3,7% ma addirittura del 12,7%, quasi il quadruplo! Ricordiamo che, secondo le regole di Maastricht, nessun paese dell’area Euro avrebbe dovuto superare il 3%.

Comincia a quel punto una saga infinita con intervento, ovviamente, delle istituzioni europee. Occorre salvare la Grecia, ma, allo stesso tempo, occorre punire la Grecia, perché i greci hanno taroccato i conti l’accusa che proviene dalle cancellerie europee. In realtà che i greci avessero taroccato i conti: lo sapevano tutti da anni. Non è questa la sede nella quale si può ricostruire nel dettaglio tutta la vicenda del cosiddetto salvataggio della Grecia. Ma andiamo al succo della vicenda. In sintesi, la Grecia chiede aiuto all’Europa, la quale si rende conto che, non avendo una Banca centrale che può fare, per quelli che sono i trattati europei, da prestatore di ultima istanza, non può intervenire direttamente a sostegno del governo greco. Sarebbe la soluzione più semplice, più pratica, più razionale e soprattutto la meno costosa, ma non si può fare perché noi abbiamo una valuta comune, l’Euro, ma non abbiamo uno Stato comune: gli Stati Uniti d’Europa non esistono, sono una chimera, un sogno, una prospettiva, quello che vi pare, ma per risolvere i problemi di finanziamento di uno Stato in difficoltà i sogni servono a poco.

Prestiti e fondi europei

Per farla breve, prima si interviene con prestiti da parte degli altri Stati europei, poi ci si inventa un nuovo meccanismo che si chiama EFSF, European Financial Stability Facility, che tradotto suona come Fondo europeo di stabilità finanziaria e che qualche anno dopo si trasformerà nel famigerato MES, tornato di moda ultimamente.

Il meccanismo di questi nuovi fondi europei prevedeva però una strict conditionality, una rigorosa condizionalità e quindi, attraverso l’intervento della Trojka, si impongono alla Grecia piani di prestiti in cambio di piani di riforme. Ora, il termine “riforme” è un edulcorato eufemismo per definire piani di tagli drastici di spesa pubblica: inizia il periodo delle cosiddette “politiche di austerità”.

L’elenco dei provvedimenti è lunghissimo, citiamo solo alcuni di quelli che, nel corso degli anni, sono stati imposti ai diversi governi greci: licenziamento di 120.000 dipendenti pubblici, taglio pesante, fino al 45%, di tutte le pensioni superiori ai 1.200 euro lordi mensili; abolizione delle tredicesime; drastica riduzione delle spese sanitarie, di quelle per l’istruzione e per l’assistenza sociale; una super patrimoniale sugli immobili in un Paese nel quale, come in Italia, il 75% dei greci è proprietario della propria abitazione. Conseguenza immediata di quest’ultimo provvedimento fu una riduzione secca del valore degli immobili fino al 30%, con la possibilità per gli stranieri, tra cui molti turisti tedeschi, per esempio, di comprare a prezzo molto vantaggioso una casa in una località di vacanza nel Mediterraneo. Ma ai governi greci furono imposti anche diversi piani di privatizzazione. In Grecia lo Stato aveva ancora nelle sue mani una fetta importante del tessuto economico e quindi sicuramente un piano di privatizzazioni non sarebbe stato, in linea di principio, del tutto sbagliato. Altra cosa è dover privatizzare in tempi stretti per far fronte a necessità di cassa, perché ciò significa non vendere ai privati ma svendere al miglior offerente. Il risultato è che gran parte delle principali infrastrutture del Paese sono state acquistate a prezzi di saldo da parte di grandi gruppi esteri. L’aeroporto di Atene è andato ai tedeschi di Fraport come anche altri 14 aeroporti regionali, tra cui quelli di Mykonos, Kos, Salonicco, Zante, Corfù, Rodi. Il porto del Pireo è stato comprato dai cinesi di Cosco, le ferrovie sono state acquistate dall’italiana Trenitalia. Desfa, il più grande distributore di gas del Paese, è stato venduto a un consorzio di ditte europee, come anche il porto di Salonicco. Deutsche Telekom, operatore telefonico tedesco, è diventata socio principale di Hellenic Telekom e via di questo passo.

Nel frattempo la drastica riduzione dei salari, degli stipendi, degli investimenti pubblici e privati faceva crollare il PIL e la domanda interna, producendo il fallimento di migliaia di piccole aziende industriali, artigianali e commerciali, desertificando la già fragile realtà produttiva del Paese.

Il crollo del PIL

Ma la terapia è stata efficace? Vediamo alcuni dati sintetici. Prendiamo i dati del 2008, anno dell’inizio della crisi finanziaria internazionale e confrontiamoli con quelli del 2018, 10 anni dopo. Ebbene, il PIL della Grecia in dieci anni, in termini reali, si è ridotto del 34%, la disoccupazione che nel 2008 era al 7,8% nel 2018 era al 19,3%, ma, e qui il dato è ancor più strabiliante, il debito pubblico che nel 2008 era pari al 109% del Pil nel 2018 era salito al 184% del PIL. In pratica un disastro totale, un fallimento su tutta la linea.

Nelle varie tornate di crisi e successivo piano di salvataggio sono stati messi in campo centinaia di miliardi di euro senza alcun risultato visibile: la Grecia è praticamente in stato fallimentare. Alcuni dati sintetici li abbiamo riportati ma andiamo a vedere cosa ha scoperto un importante istituto di ricerche economiche.

C’è un vecchio detto che usano gli americani, secondo il quale se vuoi capire come è andata a finire una qualsiasi storia, follow the money, segui i soldi. Allora, se vogliamo capire bene il caso greco facciamo gli americani e seguiamo i soldi. In realtà questa pista l’ha seguita un istituto tedesco di ricerca economica, quindi insospettabile. Nel maggio 2016 l’European School of Management and Technology di Berlino è andato a ricostruire a chi sono andati i soldi prestati alla Grecia. Da quello studio risultò che, a fronte dei 216 miliardi di “aiuti” sino ad allora elargiti ad Atene, questi erano stati utilizzati nel seguente modo:

  • 86,9 miliardi erano stati utilizzati per il rimborso di vecchi debiti con banche estere, in prevalenza tedesche e francesi;
  • 52,3 miliardi erano stati utilizzati per pagare interessi su quei prestiti sempre a banche in prevalenza tedesche e francesi;
  • 37,3 miliardi per ricapitalizzare le banche elleniche;
  • 9,7 miliardi finiti nei bilanci dello Stato greco e, quindi, si presume siano stati utilizzati dal Governo per far fronte alle necessità della propria popolazione.

In pratica soltanto il 5% dei soldi prestati sono finiti ai cittadini greci, il 95% è finito alle banche sia greche ma soprattutto estere! I fantomatici piani di salvataggio sono serviti non per salvare la Grecia e i suoi cittadini, che hanno invece subito un inaccettabile salasso economico, ma per salvare i crediti delle banche sia elleniche che estere, in primo luogo, tedesche, francesi e olandesi!

Ora, questo punto è molto importante perché negli anni passati abbiamo sentito molti commentatori, anche diversi economisti, sostenere che la causa dei problemi della Grecia fosse la Grecia stessa. I Greci, irresponsabilmente, si sarebbero indebitati eccessivamente e per anni hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità e, dato che in economia nessun pasto è gratis, era giusto che pagassero il conto dei loro comportamenti sconsiderati.

Certamente i Greci hanno approfittato di condizioni di accesso al mercato finanziario particolarmente favorevoli, sicuramente i soldi presi in prestito non sempre sono stati spesi nel migliore dei modi, ma quei prestiti ai Greci chi glieli ha fatti? Babbo Natale? Paperon de’ Paperoni? Evidentemente no, quei soldi in prestito glieli hanno dati le banche del centro e del nord Europa.

La carità serve per combattere la povertà?

Un’economia basata sul debito

L’intera economia capitalista si basa sul debito. Non esiste in economia una scala di valori morali che stabilisca che il debito è una cosa brutta e cattiva mentre il credito è una cosa buona e giusta. Come non esiste una scala di valori che ci dica che produrre è buono mentre consumare è cattivo, che esportare è buono mentre importare è cattivo, che risparmiare è buono mentre spendere è cattivo, che l’offerta è buona mentre la domanda è cattiva, che vendere è buono mentre comprare è cattivo.

L’economia si basa sullo scambio e lo scambio si può fare se ci sono due contraenti con interessi diversi e contrapposti. Io posso esportare se c’è qualcuno disposto a importare, posso produrre se c’è qualcuno disposto a consumare, posso vendere se c’è qualcuno disposto a comprare, e via di seguito. Per cui io posso fare credito, cioè prestare soldi, se c’è qualcuno disposto a prendere a debito quei soldi e viceversa io posso fare debito se c’è qualcuno disposto a farmi credito.

Poi, certamente in un sistema economico sano debbono esserci regole di buon senso. Chi si indebita, innanzitutto deve pagare un costo, un interesse per ottenere credito, deve poi dimostrarsi persona seria e affidabile e quindi deve restituire i debiti alla scadenza con i relativi interessi e se non lo fa va incontro a conseguenze spiacevoli, la prima delle quali è che nessuno nel futuro gli farà più credito! L’economia non si basa su categorie morali, peraltro assolutamente opinabili, ma su un sistema complesso di incentivi e disincentivi. Se chiedi un prestito devi pagare un costo, se non restituisci il debito non ottieni più credito! Disincentivo! Se ti comporti correttamente e restituisci i tuoi debiti diventi affidabile e quindi puoi chiedere altri crediti e i costi che devi pagare, cioè gli interessi, sono più bassi. Incentivo!

Ma il meccanismo degli incentivi e disincentivi non funziona a senso unico, soltanto per il debitore! Ci sono sistemi di incentivi e disincentivi anche per il creditore. Il creditore ha interesse a prestare i suoi soldi non perché è un benefattore dell’umanità ma perché ci guadagna gli interessi; ma onde evitare che l’avidità porti il creditore a chiedere interessi eccessivi, sproporzionati, ci sono limiti stabiliti per legge, il famoso tasso usuraio. Quindi se un creditore viene colto da una botta di avidità e chiede interessi eccessivi, passa automaticamente dalla categoria dei creditori a quella dei cravattari! Prestare soldi a strozzo è un reato e il creditore troppo avido rischia la galera. Un disincentivo!

Se il creditore presta i suoi soldi incautamente o con faciloneria rischia di perderli. Un altro disincentivo! Il creditore deve fare valutazioni sull’affidabilità del debitore, deve calcolare il rischio che quel credito non rientri e quindi premunirsi.

Proprio perché le valutazioni che il creditore deve essere capace di fare prima di concedere un prestito sono estremamente complesse, questo genere di attività è demandato a istituzioni come banche e società finanziarie, quindi a professionisti preparati. La professionalità del banchiere, l’utilizzo di sistemi di valutazione del rischio estremamente sofisticati non annullano ovviamente il “rischio di credito”.

Quindi, cosa vogliamo dire? Se le banche tedesche, francesi e altre hanno concesso troppi crediti alla Grecia, vuol dire che si sono assunte un rischio eccessivo, hanno sbagliato le loro valutazioni, sono state di manica troppo larga, ma non si può venire a raccontare che gli unici responsabili della situazione sono i Greci scialacquatori che si sono spesi tutti i soldi in champagne e ballerine di sirtaki!

Il gesto estremo di Dimitris Christoulas

Chiudiamo con un fatto di cronaca. Il 4 aprile del 2012, in un giardinetto laterale di piazza Syntagma, la piazza centrale di Atene, sotto l’ombra di un cipresso, un ex farmacista in pensione di 77 anni, Dimitris Christoulas, urla alla folla circostante: “Non mi sto suicidando, sono loro che mi stanno ammazzando”. Poi si punta una pistola alla tempia e tira un colpo. Dimitris aveva dovuto affrontare come molti altri pensionati greci un taglio consistente della sua pensione che gli aveva creato diversi problemi, tra cui anche la difficoltà a comprarsi i farmaci per curare la sua salute.

Con quel gesto estremo Dimitris intendeva a suo modo protestare contro le politiche di austerità imposte al popolo greco. Quel grido disperato: non mi sto suicidando ma siete voi che mi state ammazzando, era un atto d’accusa preciso e diretto, ma ancora più significative sono le parole che Dimitris scrisse in un’ultima lettera indirizzata alla moglie e alla figlia:

“… la mia età avanzata non mi consente di reagire in maniera più attiva, ma se un mio connazionale greco dovesse imbracciare un kalashnikov mi metterei dietro a lui. Non vedo altra soluzione che questa fine dignitosa alla mia vita, perché non mi voglio trovare nella necessità di mangiare dai bidoni della spazzatura. Io credo che i giovani, ormai senza futuro, un giorno prenderanno le armi e appenderanno i traditori di questo paese a piazza Syntagma, proprio come gli italiani hanno fatto a Mussolini nel 1945 a Milano, in piazzale Loreto…”.

Ad ammazzare Dimitris sono state le politiche economiche sbagliate e criminali imposte al suo Paese e al suo popolo da una classe politica europea irresponsabile e cinica. Dimitris purtroppo è soltanto uno dei tanti greci suicidatisi nell’ultimo decennio per problemi economici: si calcola siano stati almeno 10.000. Oggigiorno un terzo della popolazione greca vive sotto la soglia di povertà, centinaia di migliaia di greci hanno perso il lavoro e la speranza di un futuro, molti dei quali, più di 500.000, in un Paese di 11 milioni di abitanti, hanno dovuto emigrare: decine di migliaia di greci negli ultimi dieci anni non si sono potuti curare per problemi economici, negli ultimi dieci anni la mortalità infantile è raddoppiata.

Le bizzarre politiche di austerità imposte a quel Paese per contrastare il crollo della domanda aggregata, si sono rivelate simili alle cure che i medici medievali applicavano ai pazienti moribondi: il salasso, una presunta cura che finiva semplicemente per accelerare il trapasso a miglior vita di organismi già pesantemente debilitati da altre malattie.

Disegno di Dave Granlund

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