Rosie Ruiz – Una vittoria asciutta

Scritto da in data Marzo 22, 2020

Ci sono alcune storie nel mondo dello sport che possono, a tutti gli effetti, essere considerate delle imprese sportive; raccontano spesso di atleti poco dotati o squadre improbabili che, incredibilmente e senza spiegazione, quasi per magia, riescono a vincere, battendo avversari ben più talentuosi e accreditati. Come non pensare al Leicester di Ranieri, capace di vincere la Premier League nel 2015, sbaragliando la concorrenza, o a Steven Bradbury (Qui la sua storia) che, baciato dalla fortuna, ha vinto l’oro olimpico nei 1000 metri alle olimpiadi invernali di Salt Lake City, nel 2002.  Può la storia di Rosie Ruiz, la protagonista di questo podcast, essere annoverata anch’essa tra le imprese sportive? Per scoprirlo prendete posto sulla Deloran e allacciate le cinture, si torna al 21 aprile 1980.

Rosie Ruiz – Una cubana a Manhattan

“I got up with a lot of energy this morning”, che tradotto in Italiano diventa “Mi sono alzata piena di energia stamattina”. Questa frase altro non è che la risposta di Rosie Ruiz ad un giornalista che la intervista al termine della maratona di Boston del 21 aprile del 1980 in cui la Ruiz ha appena tagliato il traguardo per prima. Il giornalista, così come un po’ tutti del resto, è piuttosto sorpreso dal suo aspetto e dal suo stato di forma dopo una corsa di oltre 2 ore e mezza: 2:31:56 per l’esattezza. Tra l’altro un tempo che, messo a confronto con quello fatto registrare dalla Ruiz sei mesi prima, alla maratona di New York, risulta migliorato di oltre 25 minuti: un’enormità!

La Ruiz è una atleta di origine cubana nata all’Avana il 21 giugno del ‘53. All’età di 8 anni si trasferisce con la sua famiglia in Florida, per poi separarsi dalla madre per vivere con le zie, gli zii e i cugini ad Hollywood, un piccolo centro abitato vicino Miami; lì frequenta il college e ci rimane fin quando si trasferisce a New York dove comincia a lavorare come segretaria. Sarà la passione per la corsa, sarà l’aria di Manhattan, sta di fatto che la Ruiz decide di partecipare alla maratona di New York: dichiara un tempo stimato di percorrenza di 4 ore e 10 minuti ma la sua richiesta di partecipazione viene rifiutata in quanto arrivata fuori tempo; la Ruiz non ci sta e fa ricorso, chiedendo una dispensa speciale ai New York Road Runner visto che, a suo dire, sta morendo per un cancro al cervello e la ottiene: partecipazione approvata

La Maratona di New York

La maratona di New York, che oggi è – forse – la maratona più famosa del mondo, all’epoca della Ruiz è alla sua nona edizione e benché la sua popolarità non sia paragonabile a quella attuale è comunque una competizione importante che vede alcune migliaia di partenti. Alla sua prima partecipazione ad una competizione ufficiale, la Ruiz si piazza all’undicesimo posto tra le atlete donne, facendo registrare un tempo di 2 ore e 56 minuti, molto meglio di quanto dichiarato dalla stessa partecipante in fase di iscrizione.  Il grandioso ed inaspettato risultato ottenuto, spinge il datore di lavoro della Ruiz a pagarle la trasferta per il Massachusetts dove, alcuni mesi più tardi, si sarebbe svolta la maratona di Boston alla quale la Ruiz si è qualificata grazie al suo tempo nella gara di New York.

Come anticipato, Rosie Ruiz vince la maratona di Boston, aggiudicandosi la gara con un tempo che rappresenta il miglior risultato di sempre per la categoria femminile, nonché il terzo tempo femminile mai registrato in qualsiasi maratona. A tutti gli effetti, una vera e propria impresa sportiva. Ma c’è un però, anzi, un bel po’ di però.

I tanti interrogativi

Però, Bill Rodgers, il vincitore della categoria uomini, è sbigottito dal fatto che la Ruiz non sia in grado di fornire indicazioni precise circa la sua tecnica di gara come, ad esempio, gli “intervals” e gli “splits”.

Però, molte persone notano che la vincitrice, pur sembrando sfinita a fine gara, non mostra nessun’altro dei tipici segni della fatica: non è sudata come ci si aspetterebbe dopo una corsa del genere, i suoi capelli sono praticamente perfetti, e, per di più, il tono muscolare delle sue gambe e delle sue cosce ha poco a che fare con la muscolatura che ci si aspetterebbe dai corridori di quelle distanze e di quel livello.

Però, alcuni risultati di stress test, resi noti a posteriori, testimoniano una frequenza cardiaca a riposo di 76 battiti a minuto, assai distante dalla frequenza tipica, bradicardica, di 50 o meno che si riscontra, in genere, in maratonete allenate e che è auspicabile, per non dire necessaria, per ottenere buoni tempi in gara.

Però, come già detto, un miglioramento di 25 minuti in sei mesi su un tempo complessivo di circa 2 ore e mezzo non è spiegabile se non con un miracolo.

Però, la Ruiz, intervistata a fine gara, non si ricorda delle rumorose studentesse del Wellesley College che, come da tradizione, accolgono con esagerato entusiasmo, nei pressi dell’omonimo sobborgo, le donne che sono in testa alla corsa mentre passano davanti al loro campus.

Però, gli organizzatori comunicano alla canadese Jacqueline Gareu di essere in testa al passaggio del traguardo delle 18 miglia e a Patti Lyons di essere seconda a quello delle 17 miglia, eppure nessuna delle due si ricorda di essere stata superata dalla Ruiz.

Però, un certo numero di osservatori posti ai check-points non si ricordano di aver visto la Ruiz nel gruppo di testa, così come non risulta mai ripresa dalle foto o dai filmati registrati durante la corsa.

Però, quello che due studenti di Harvard si ricordano, è di averla vista – letteralmente – apparire nel mezzo della folla di spettatori sulla Commonwealth Avenue, a circa mezzo miglio dal traguardo.

Una maratoneta in metropolitana

Tanti però, forse troppi, tanto che, dopo qualche tempo, si fa viva una fotografa freelance, tale Susan Morrow, che riferisce una “stranezza” relativa alla precedente maratona corsa dalla Ruiz, quella di New York. In buona sostanza la Morrow riferisce di averla incontrata in metropolitana durante la gara e di aver coperto una certa distanza insieme fino all’area di arrivo.

In seguito a questa testimonianza, i funzionari della New York City Marathon avviano un’indagine che si conclude con la squalifica retroattiva della Ruiz e, quindi, con la automatica squalifica anche per quella di Boston. Successivamente, nell’arco della stessa settimana, anche la Boston Athletic Association squalifica direttamente la Ruiz, proclamando la Gareu vincitrice della stessa e spostando al secondo posto la Lyons. D’altronde, a parte le varie testimonianze di cui abbiamo dato conto, vengono visionate circa 10.000 foto scattate lungo l’ultimo miglio di gara e, in nessuna di queste, è presente la Ruiz.

Per 39 anni, fino alla sua morte per cancro avvenuta l’8 luglio del 2019, all’età di 66 anni, la Ruiz continua a professarsi innocente, conservando la sua medaglia d’oro per la vittoria della maratona di Boston del 1980 – per Jacqueline Gareu ne venne prodotta una nuova -, ma le sue vicissitudini non si concludono con la squalifica di cui vi ho parlato visto che nel 1982 viene arrestata per appropriazione indebita ai danni della società immobiliare per la quale lavorava e per questo trascorre una settimana in prigione per poi scontare una condanna di cinque anni in libertà vigilata. Non contenta, l’anno successivo, viene di nuovo arrestata e condannata a tre anni in regime di libertà vigilata per un suo coinvolgimento in un malaffare nell’ambito della cocaina.

Eh no, mi sa che la vittoria di Rosie Ruiz non finirà nel prestigioso calderone delle imprese sportive. Più facilmente farà compagnia ad Ali Dia (qui la sua incredibile storia) fra i truffatori dello sport.

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