Ilide Carmignani racconta “Pancia d’asino”

Scritto da in data Dicembre 30, 2022

Una storia che riporta alla dimensione selvaggia dell’adolescenza, ambientata a Tenerife e scritta da Andrea Abreu, giornalista e scrittrice, tradotta in Italia da Ilide Carmignani per Ponte alle Grazie. Valentina Barile parla del romanzo Pancia d’asino (Panza de burro, titolo originale) su Radio Bullets con Ilide Carmignani.

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Si è parlato spesso con Ilide Carmignani, in altre puntate, del lavoro del traduttore, approfondendo l’aspetto emotivo di quest’autore − in questo caso, autrice – che vive, come dire, all’ombra di chi scrive. Ilide Carmignani su Radio Bullets: «È stato molto bello tradurre questo libro. Pancia d’asino è un romanzo così vivo, così pieno di energia, che mi ha fatto tornare alla mente un’espressione dei miei nonni. Per spiegare quella vitalità incredibile dei ragazzini… no, quella irrequietezza assoluta, dicevano sempre: “È carne che cresce”. La protagonista − “carne che cresce” − deve lasciare un’infanzia selvaggia fra quattro case sulle falde di un vulcano − il Teide, alle Canarie − e cercare con coraggio il proprio posto nel mondo, un mondo abbastanza ostile, estraneo, che inizia anche dal suo corpo: dai nuovi desideri che lo muovono, da una timidezza penosa che diventa anche una drammatica incapacità di reagire alle violenze, perfino uno stupro. Accanto a lei c’è un’amica tiranna, ammirata fino all’invidia e amata fino all’odio, si chiama Isora, ha già le tette e sa dire di no ai grandi. E intorno alle due ragazzine c’è un paesetto povero, ancora contadino, dove le mamme fanno le donne delle pulizie, i padri sono manovali e si ammazzano tutto il giorno di lavoro, lontano, negli alberghi sulla costa, davanti alle meravigliose ma irraggiungibili spiagge per ricchi turisti; insomma, Pancia d’asino m’ha catturato subito, forse un po’ perché anch’io ho avuto un’infanzia selvaggia come quella di Shit».

Restituire

Andrea Abreu, “Pancia d’asino”

Cosa vuol dire tradurre i dialettismi e riadattarli alla lingua in uso, restituendo il senso della lingua originale. Parole come griturismi, propio, fisquito come si cuciono nel testo? Ilide Carmignani: «Pancia d’asino è stata una delle traduzioni più difficili che abbia mai fatto, già a partire dalla lingua in cui è scritto, lo spagnolo delle Canarie, anzi, di Icod de los Vinos, anzi, del quartiere Los Piquetes, anzi, di nonna Chela… parole che si usano solo lì e che spesso fanno riferimento a cose che esistono solo lì, penso per esempio ai cibi, alle piante, alle cosiddette parole culturali. E in più, c’è il gusto di scrivere come si parla, in certe pagine di come si parla tra adolescenti e inoltre, a volte Abreu si diverte a trascrivere la pronuncia ignorando le convenzioni ortografiche, e anche fa giochi di parole. E in più c’è una grande musicalità, ci sono punti in cui il ritmo del fraseggio mi ha ricordato un cuore che pulsa in una corsa a perdifiato, e tutto questo senza creare ostacoli al piacere della lettura, anzi fomentandolo. Io ho rispettato il più possibile le parole legate alla realtà canaria scegliendo spesso di fare dei prestiti linguistici che consentivano di conservare certe sonorità, quasi certi sapori, perché questo è un libro che sollecita tutti i sensi e spero che i lettori riescano ad apprezzare appieno, anche in traduzione, il suo gusto che è frizzante, aspro, come le acetoselle dei campi che le due ragazzine succhiano nelle loro scorribande, un gusto frizzante e lunghissimo perché questo è un libro che ti resta dentro».

Voce

Come accade che una storia diventi un caso editoriale, nonostante sia stata pubblicata durante la pandemia da un piccolo editore spagnolo e arrivi da un angolo remoto di mondo? Ilide Carmignani conclude su Radio Bullets: «Perché a volte, più una storia è locale e personale, più è universale. Molti di noi sono nati ai margini, hanno dovuto costruirsi a fatica un’identità, e questo spesso è accaduto a fianco di un pari che diventa una specie di specchio amato e detestato insieme, perché dalla periferia della periferia Abreu sovverte tutte le strutture di potere. Benché la società prema per addomesticare queste due protagoniste, queste due ragazzine, tutto resta ostinatamente libero, fluido, aperto. Sensazioni, emozioni, forme d’identità, l’amicizia è anche un primo amore bruciante, Juan e anche Juanita, mangiare e anche vomitare. E poi, perché io credo che anche se è un esordio di una studentessa di ventiquattr’anni, anche se è stato pubblicato da una piccolissima casa editrice in Spagna, anche se è uscito in piena pandemia con le librerie chiuse, quando un romanzo ha una voce letteraria così ricca e potente non può non arrivare al lettore».

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